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Immagine del redattoreFrancesca Bonfatti

Il sé allo specchio. Autoritratti fotografici

Ieri – 29 settembre – si è conclusa la mostra dedicata all’autoritratto contemporaneo a cura di Giorgio Bonomi, allestita nella Galleria romana “Studio Arte Fuori Centro”.

Rimembrando coralmente un luminoso e spensierato pomeriggio…abbiamo raccolto e messo insieme in questa galleria virtuale, gli scatti e (autoscatti!) dei partecipanti e, nella nota che segue, la presentazione degli artisti e delle opere da parte del curatore e critico Giorgio Bonomi.

Grazie alla gentile accoglienza e disponibilità della Gallerista Teresa Pollidori.

Un doppio grazie a Giorgio Bonomi, per averci invitato a prendere parte a questa  interessante esplorazione attraverso i nostri lavori, presentati anche all’interno del suo II volume  “Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea”, Editore Rubbettino,  2017.

Un ringraziamento speciale va all’artista Patrizia Lo Conte, per la documentazione dell’evento e la gentile concessione 😊 e a tutti i fotografi presenti (tra i quali mi risulta difficile attribuire la paternità degli scatti).

Buona visione! 👁

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IL SÉ ALLO SPECCHIO. AUTORITRATTI FOTOGRAFICI

di Giorgio Bonomi

La mostra prende corpo dalla mia decennale ricerca sugli artisti/fotografi che usano l’autoscatto, sintetizzata nei due volumi Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea, Editore Rubbettino, 2012 e 2017: in questa esposizione ho  riunito un piccolo gruppo di opere di artisti presenti nel secondo volume sopracitato.

Il fondamento dell’autoscatto risiede, solitamente, nel bisogno di identità da parte del soggetto/oggetto dell’operazione: l’autoidentificazione avviene, nell’autoscatto, in vari modi, con il travestimento, con la messa in scena, con la messa a nudo, con la denuncia e la protesta, con la volontà di narrare, con il nascondersi e con il presentarsi solo con una parte – perfino minima – del proprio corpo (del proprio sé).

Caratteristica dell’autoscatto è, inoltre, la solitudine, dato che, se non in casi eccezionali, l’autore si trova da solo davanti alla macchina fotografica.

Ogni artista sceglie la tecnica più appropriata e la collocazione di sé negli spazi per lui più significativi per comunicare il proprio messaggio. Abbiamo lavori eseguiti con tecniche “tradizionali” oppure “sperimentali”, il bianco e il nero e il colore, sempre con una finalità: la volontà di dire di sé.

Tutti i presenti sono “artisti” (non interessano in questa sede i selfie che appartengono più alla sociologia che all’estetica): alcuni di grande fama altri emergenti, alcuni giovani altri meno. Inoltre, questi artisti, nonostante non siano numerosi, danno una sufficiente testimonianza delle varie tipologie dell’autoscatto.

Gli artisti presenti sono: Tommaso Binga, Francesca Bonfatti, Silvia De Gennaro, Iginio de Luca, Ilaria Facci, Francesca Gabrielli, Benedetta Galli, Elisa Gestri, Patrizia Lo Conte, Rita Mandolini, Rita Mele, Cinzia Naticchioni Rojas, Laura Peres, Filippo Riniolo, Massimo Rossetti, Malgorzata Stanislawa Szymko.

Sebbene, come già accennato, la ricerca della propria identità, della definizione del proprio essere sia la caratteristica generale dell’autoscatto, in certi artisti questa è più marcata: così Iginio de Luca (Formia, 1966) sovrappone la sua faccia a quella del padre e della madre, “rafforzando” in tal modo la definizione di sé con chi gli ha dato la vita; Cinzia Naticchioni Rojas (Roma, 1977) si raffigura con un’inquietante rappresentazione di lei con gli occhi chiusi ed aperti, quasi a segnare una duplicità; Laura Peres (Frosinone, 1985) presenta dei dittici con la sua immagine fotografata da un passante e con quella di colui che l’ha fotografata, quindi si “sdoppia” e “interscambia” l’io e l’altro, il tutto sempre con forte ironia.

Certi artisti, prima dell’autoscatto, si “travestono” così da assumere quell’identità che desiderano, o sognano, e che dà loro sicurezza con una migliore definizione o, addirittura, trasformandosi in altro da sé. Patrizia Lo Conte (Senigallia, 1954) assume, col travestimento, vari aspetti di donna, quali “Eva”, “La turista”, “La fatale”, qui “La ribelle” eccetera. Anche Silvia De Gennaro (Chianciano Terme, 1961) da un lato acquista varie fisionomie e, dall’altro, diviene personaggio dei Tarocchi per cui, al di là dei valori simbolici di questi, fa emergere dal profondo differenti sue identità. Massimo Rossetti (Roma, 1956) ama prendere l’aspetto di diversi personaggi storici o accostarsi ad essi, ora diviene Einstein ora gioca con Duchamp a scacchi.

Alcuni artisti si “mettono a nudo, anche” (per citare il titolo di una famosa opere del grande dadaista appena nominato) per comunicare i propri convincimenti e il proprio io. Nei loro lavori non c’è mai “scandalo” – il nudo serviva a far crescere le mentalità molti decenni fa, ora non serve più – anzi appaiono pudichi e severi anche se molto espliciti. Infatti Elisa Gestri (Prato, 1975) ci offre una “origine del mondo” attualizzata con una fotografia della sua parte più intima, carica di significati come già aveva affermato Gustave Courbet. La polacca Malgorzata Stanislawa Szymko (1971) redige una sorta di diario, riprendendosi nei luoghi da lei visitati, qui il nudo risponde più ad esigenze formali, cioè al gioco della luce e delle ombre.

“Scandalo” o “denuncia” vogliono esprimere invece altri artisti, e questi trattano situazioni personali (malattie, malesseri) o sociali e politiche. Ilaria Facci (Roma, 1982) da bambina ha avuto il cancro agli occhi e ne ha perduto uno: con la fotografia e l’autoscatto “denuncia” la malattia e la “riscatta”, infatti le sue immagini “caravaggesche” diventano “gli occhi che il cancro ha cercato di portarle via”. Francesca Bonfatti (Roma, 1970) che usa anche lo pseudonimo Gelidelune ha realizzato un lavoro in cui la sua schiena appare con due profonde cicatrici, con queste testimonia la malattia e la guarigione, infatti la cicatrice ricorda il male, la sofferenza ma, al tempo stesso, è testimonianza del suo superamento e quindi è un segno di fiducia e di speranza. Su un altro piano si pongono le radiografie di Francesca Gabrielli (Roma, 1966), queste sono del suo corpo ma poi il titolo imprime alla serie di queste un forte senso di denuncia, infatti si chiama Cernobyl 1986 – Fukushima 2011. Del tutto “politica” è l’immagine di Filippo Riniolo (Desio, 1986), che indossa il passamontagna e realizza il Selfie di un Caracole, cioè rimanda alla località messicana dove è nato il movimento rivoluzionario zapatista.

Benedetta Galli (Perugia, 1976) si serve dell’autoritratto fotografico per realizzare un lavoro in cui emerge una tecnica sperimentale assai interessante: pone sulla superficie numerosissime sue immagini fotografiche e poi sopra ad ognuna pone una goccia di silicone, ottenendo un forte effetto cromatico e compositivo.

Anche alcune artiste che praticano maggiormente la performance e il video, poi realizzano immagini “ferme” con il proprio sé. Tomaso Binga (Salerno, 1931), pseudonimo di Bianca Pucciarelli Menna, uno dei principali protagonisti della poesia sonora e performativa, crea delle immagine piene di ironia e di denuncia politica e sociale, dedicate soprattutto alla questione femminile. Rita Mele (Asmara, 1942) è essenzialmente pittrice. Nei suoi autoritratti mostra solo il viso e li ritocca con una sua tecnica personalissima; l’artista sembra “oltraggiare” sè stessa, con cancellature o titolando un autoritratto Dislessia: tutto ciò indica mancanza di narcisismo e capacità di autosservazione e, forse, di autocritica. Infine, Rita Mandolini (Roma, 1964) da un video presenta immagini di parti del suo corpo realizzando un lavoro simpatico ed efficace, in cui lei cammina, tra ironia e drammaticità, su una massa appiccicosa che le impedisce di alzare normalmente i piedi che restano sporcati e con attaccata la materia melmosa.

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